Le opportunità occupazionali che il mercato del lavoro riserva per i beneficiari del Reddito di cittadinanza sono sostanzialmente a termine. Lo mette in luce una ricerca dell’ANPAL.
Dell’oltre 1milione e 200mila rapporti avviati, sottolinea il rapporto, ben il 63,6% risulta essere a tempo determinato, con una percentuale che per gli uomini arriva a interessare più di 2 rapporti su 3.
C’è poco spazio invece per i rapporti di lavoro stabile, a tempo indeterminato: meno del 15% (comprensivi dei rapporti di lavoro in apprendistato), con la componente femminile dei beneficiari che presenta una quota di circa 1,4 punti percentuale maggiore di quanto riscontrato per gli uomini.
Le difficoltà ad avvicinarsi ad un contratto a tempo indeterminato sono determinate anche dal generale basso profilo professionale e dalla lontananza dal mercato del lavoro.
Questi numeri dimostrano come l’accesso al sussidio non sembra aver portato i beneficiari ad abbandonare la ricerca di un lavoro e, soprattutto, non sembra abbia innalzato il relativo cd. salario di riserva (il valore del sussidio) a tal punto da portarli a rifiutare occupazioni a termine anche se di breve o brevissima durata. In altri termini il valore del Rdc ha la caratteristiche di non essere pienamente soddisfacente per le famiglie fino al punto da non invogliarle a cercare lavoro.
Questi i dati che dimostrano come i percettori Rdc, quando possibile, riescono a collocarsi nel mercato del lavoro nonostante l’alto livello di precarietà:
Numeri che secondo ANPAL mettono in luce le marcate difficoltà di uscita dalla condizione di povertà che ne ha determinato l’ingresso in misura.
Il grafico che segue dimostra come i contratti di lavoro a termine di durata molto breve (1 mese oppure 1/3 mesi) siano i più diffusi nelle assunzioni dei percettori di Rdc. Una situazione drammatica se si pensa che si sta parlando del 68,6% dei casi:
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