Vera aveva appena dieci anni, era secondogenita di una famiglia numerosa, Gianni era più grande di lei di otto anni e poi c’erano: Luigi, sette anni, Guido, sei anni, Erminia quattro anni e Nicolino di appena due anni. Era una famiglia molto unita, i genitori cercavano di crescere i propri figli in modo umile, ma non facendogli mancare nulla. La mamma si era ammalata di una malattia sconosciuta che peggiorava le sue condizioni fisiche pian piano fino a renderla incapace di camminare. Vera era una ragazza dai capelli lunghi e ricci, occhi verdi e brillanti, molto intelligente e con una gran voglia di sapere, infatti andava molto bene a scuola. Gianni, più grande di lei, era molto alto e robusto e poco incline allo studio, gli piaceva stare con gli amici e si era da poco fidanzato con una giovane ragazza del paese. I piccoli erano tutti biondi e molto vivaci, passavano molto tempo nella loro casa di campagna insieme a cani e gatti che avevano. La guerra entrò nella loro modesta casa in modo irruento, non lasciò spazio a decisioni, pianificazioni o strategie; papà Enrico e suo fratello Gianni dovettero partire per la guerra per onorare la patria, questo, la maestra di Vera ripeteva ogni giorno e le donne avevano sostituito gli uomini nei loro lavori quotidiani: nei campi, nelle fabbriche e negli acquisti o nelle vendite dei prodotti agricoli.
Era il 24 maggio del 1915, il giorno del compleanno di Vera che compiva 10 anni, l’Italia attaccava l’impero austroungarico. La brigata alpina si mosse con il compito di scalare in una sola notte i 2300 metri del Monte Nero, nel frattempo, gli Austriaci erano già schierati sulle vette delle Alpi lungo un lunghissimo fronte. Gli italiani di tutte le regioni erano uniti e combatterono insieme per la vittoria. La mamma di Vera era molto malata, purtroppo, era costretta da mesi a stare a casa ferma, a causa delle sue gambe che non reagivano più, come se fossero morte. In quel momento le donne dovevano necessariamente prendere in mano i lavori degli uomini per cercare di sfamare i figli, quindi Vera, la più grande, doveva occuparsi di tutti i fratelli. All’improvviso, tutti suoi sogni di bimbetta svanirono, i suoi capricci vennero sopraffatti dalle lagne di Nicolino che non smetteva mai di cercare la madre e il padre, urlava tutto il giorno non accettando Vera come mamma. Vera era abilissima nelle faccende di casa, perché sia lei che il fratello grande non si erano mai risparmiati nell’aiutare i genitori che, nonostante non avessero molto da offrire loro, avevano sempre cercato di educarli nel rispetto delle cose e delle persone.
Vera era sveglia tutto il giorno, nemmeno la notte riusciva a dormire perché era preoccupata per i suoi fratelli; infatti, il cibo cominciò a scarseggiare sempre di più. Vera non mangiava più, era dimagrita in modo esagerato. Nel frattempo, il fronte italiano avanzava sulle dolomiti scavando gallerie lungo le Alpi per nascondere le munizioni e le armi pesanti. Con il protrarsi della guerra, Vera cominciò ad essere in difficoltà. Una mattina, mentre lavava i panni in fontana, passò un uomo del paese accanto che era in cerca di manodopera e propose a Vera un lavoro redditizio. Le avrebbe dato tre soldi a settimana. Prima di prendere una qualsiasi decisione dovette parlarne con il fratello più grande, Guido, che non voleva che andasse lei, ma la pregò di mandare lui che era maschio. Discussero tutta la notte sotto le coperte, di nascosto dalla mamma che non doveva assolutamente venire a sapere nulla. Luigi, ad un certo punto, interruppe la discussione e guardò Vera negli occhi, come solo lui sapeva fare e le disse: “Vera promettimi che appena capisci di non farcela oppure c’è qualcosa che ti rende infelice fai andare me che so di potercela fare, nonostante la mia giovane età!” Vera lo guardò e accettò il patto, si strinsero forte come facevano sempre tra fratelli.
La mattina seguente Vera si alzò molto presto ed organizzò, insieme a Luigi, il pranzo e la cena per i fratelli. Vera si raccomandò con Luigi di fare attenzione e di non far sapere nulla alla madre, così raggiunse il posto dell’appuntamento in perfetto orario dove c’erano altri ragazzi come lei. Passò un vecchio camion che li raccolse tutti e li portò in un posto abbandonato, vecchio e lurido dove c’erano molti uomini anziani, molte donne e tanti bambini. In quel posto si costruivano le armi. Vera e gli altri bambini furono buttati giù dal camion e portati in una specie di ufficio, dove un enorme uomo baffuto selezionava i bambini a seconda della loro corporatura per i diversi lavori da fare: armi, trasporto pacchi, scavare la terra ecc. Vera, per la sua minuta corporatura, venne messa al rullo dove venivano smistati i proiettili. Doveva stare in piedi dieci ore e poteva fermarsi solo per il pranzo. Il primo giorno Vera non portò nulla co sé, quindi, non mangiò per più di dieci ore e quando tornò a casa dovette pensare anche a sistemare i fratelli e la mamma. Il tempo scorreva inesorabile e la situazione generale peggiorava. Le forze fisiche di Vera cominciarono a scarseggiare, lei era davvero preoccupata perché, oltre a non avere le forze, i suoi fratelli non la riconoscevano come figura materna e nel luogo dove lavorava non c’era alcuna pietà per nessuno. Si sentiva incapace e tutto quello che faceva durante il giorno sembrava inutile. I fratelli piangevano oppure si nascondevano da lei. Continuava a ricevere le lettere del padre che la incoraggiava a difendere i fratelli e la casa, il padre riusciva a darle fiducia. Le voleva molto bene e credeva nelle sue capacità. Ma lei aveva solo dieci anni e il suo fisico non reggeva a tanta fatica.
Un giorno, mentre era in quella specie di fabbrica, un bimbo, di appena sei anni, cadde a terra stremato dalla stanchezza. Sesto, un bimbo molto alto per la sua età e molto robusto, era stato assegnato al trasporto pacchi, doveva trasportare casse piene di proiettili dalla cava inferiore (così veniva chiamata perché nascosta rispetto al resto della fabbrica) alla cava superiore dove c’erano i carri o i muli dove venivano caricate le casse dei proiettili per poi essere portati nelle trincee sulle dolomiti. Era un lavoro durissimo e spesso Sesto, per guadagnare di più, raddoppiava l’orario di lavoro e stava nella cava anche tutta la notte. Quel giorno, Sesto si sentì male perché erano tre giorni che era chiuso nella fabbrica. Tutti si spaventarono, le donne cominciarono ad urlare, ma gli uomini, a capo del gruppo, rapidamente lo presero dicendo a tutti che lo avrebbero portato dal medico addetto a quella fabbrica. Sesto non fece mai ritorno e nessuno diede mai spiegazioni. Con il passare del tempo, molti bambini fecero la stessa fine di Sesto, nessuno aveva il coraggio di approfondire, altrimenti non sarebbero stati pagati. Nonostante questo, tutti i giorni arrivavano altri bambini che costavano meno degli adulti! Anche Vera soffriva molto, ma non poteva permettersi di smettere, perché sua mamma aveva bisogno di cure speciali e i suoi fratelli di mangiare. Luigi, nonostante la sua tenera età, capì il sacrificio che Vera faceva per loro e quindi cercava in tutti modi di aiutare Vera in casa e di accudire i fratelli che ben presto si abituarono a Vera e, in qualche modo, alla situazione. I cinque fratelli si strinsero l’un l’altro incoraggiandosi. Anche Nicolino, a modo suo, cercò di aiutare i fratelli, se non altro dormendo la notte. Vera si rese conto che la famiglia era importante e si organizzò in modo da affrontare al meglio la situazione.
La guerra divenne mondiale e il padre e il fratello di Vera non tornarono mai a casa. Il dopoguerra fu anche più difficile, soprattutto quando la mamma morì. I ragazzi soffrirono molto quando la mamma morì e passarono dei giorni drammatici. Con il trascorrere del tempo e con la maturità che la guerra gli aveva imposto, i ragazzi presero in mano il terreno di famiglia e cercarono di mandarlo avanti come il padre e Gianni gli avevano insegnato a fare e Vera ed Erminia ripresero gli studi e divennero maestre. Ognuno, in modo diverso, riuscì a farsi una vita dignitosa, ma con il cuore distrutto da una guerra e dalla perdita del papà, del fratello e della mamma. I cinque fratelli non si separarono mai, rimasero sempre uniti in quella casa, nel ricordo dei brutti momenti, ma soprattutto dei bei momenti prima della guerra.
Arianna D’Ambrogio