In un paesino della campagna laziale in provincia di Roma, un ragazzo di quattordici anni stava salutando i suoi amici, perché stava per partire. Uno dei suoi amici chiese: “Giorgio come mai parti?” Il ragazzo molto dispiaciuto rispose: “Una settimana fa è arrivata a mio padre la proposta di fare il ferroviere a Roma e lui ha accettato. Noi ovviamente dobbiamo seguirlo, purtroppo devo lasciare il paese e tutti voi, amici miei!” Le sue parole furono seguite da un lungo silenzio interrotto da Mario, il miglior amico di Giorgio, “Mi dispiace amico, ma sono sicuro che ci rivedremo.” I due si abbracciarono commossi “Certo Mario ci rivedremo.” Detto ciò, salutò tutti e andò a cercare sua sorella, anch’ella stava salutando le sue amiche. S’incontrarono a metà strada e Giorgio chiese: “Come è andata?” La bambina con gli occhi lucidi rispose: “E’ stata molto dura, ma troveremo altri amici in città!” Era questo quello che Giorgio apprezzava della sorella: trovava sempre il buono anche nei momenti più brutti. Tornarono a casa al calar del sole, i genitori stavano sull’uscio, frementi per la grande occasione di un lavoro stabile a Roma, ma consapevoli del sacrifico che stavano imponendo ai loro figli. Quando li videro, uscirono e si diressero verso una carrozza posta davanti alla loro casa e li invitarono a seguirli. Il viaggio fu lungo e noioso, quando arrivarono alle porte di Roma furono meravigliati dalla grandezza della città. Giunsero nella nuova casa, situata non lontano dal centro, non era molto grande, era un piccolo appartamento, molto vecchio, c’era una camera da letto dove dovevano dormire i genitori e due divani dove dovevano dormire i due ragazzi. Visto che era molto tardi ed erano tutti molto stanchi per il viaggio, decisero di mettersi a dormire.
Il giorno dopo, il padre, che si chiamava Pietro, andò a lavorare di buon’ora, mentre Giorgio si svegliò un po’ più tardi e andò a fare colazione, dopodiché si vestì ed aspettò la sorella per uscire ad esplorare la città. Rimasero più impressionati che la notte precedente… Era un mondo tutto nuovo. Nei mesi seguenti, riuscirono a scoprire molte cose che questa nuova esperienza nascondeva. Si abituarono alla nuova città, scoprirono nuovi posti anche grazie ad alcune amicizie che avevano stretto durante questi primi mesi. A Giorgio, sembrava che anche il padre si fosse trovato bene nel nuovo ambiente lavorativo, si era fatto degli amici fra i colleghi che portava anche a casa; per la verità, questo avveniva spesso quando lui e sua sorella non erano in casa. Un giorno, Giorgio tornando a casa, sentì delle voci che non conosceva provenire dal tinello, poi sentì quella di suo padre e, rimanendo nascosto, si mise ad ascoltare. Capì che erano suoi colleghi, ma rimase incuriosito dalla discussione un po’ concitata, nella quale tutti parlavano con grande circospezione: “Giacomo sei sicuro che lo vuoi fare tu?” Chiese uno dei colleghi al padre:” Sono sicurissimo, non mi tirerò indietro”, a quel punto un altro disse: “Allora è deciso. Ci vediamo domani alle 9! Buona serata.” Dopodiché tutti, considerando la discussione conclusa, presero le giacche e se ne andarono.
Pochi giorni dopo questo incontro, in una sera particolarmente fresca Giacomo prese da parte il figlio e gli disse: “Giorgio domani vorrei che venissi con me al lavoro, ti andrebbe?” Giorgio rimase inizialmente esterrefatto, ma poi molto allegramente rispose: “Certo papà, vengo volentieri!”
La mattina dopo fu svegliato all’alba dal padre, molto assonato si preparò e uscì. In città non c’era nessuno e la luce dell’alba dava una visione del tutto nuova a Giorgio, che lo affascinava. Arrivati allo scalo di San Lorenzo, dove lavorava il padre di Giorgio, il ragazzo si mise in disparte a vedere il padre lavorare. L’attività dello scalo ferroviario lo colpì: tutti quei vagoni, locomotive, scambi, avrebbero impressionato qualsiasi ragazzo della sua età. Rimase ammirato dai gesti compiuti dal padre con grande abilità e precisione! C’erano però delle guardie fasciste che controllavano gli operai e i ferrovieri che, come gli aveva detto il padre, erano davvero molto severe. A metà mattinata un treno merci, contente delle armi, perse dei vagoni che deragliarono rovesciandosi, tra l’allarme delle guardie e una certa indifferenza dei lavoratori, che si attivarono solo quando furono sollecitati in malo modo dalle guardie. Questo aspetto sembrò molto strano a Giorgio che si promise di chiederlo al padre durante la pausa pranzo, quest’ultima arrivò verso le 13:00 e padre e figlio andarono con altri ferrovieri, fra cui c’era qualcuno di quelli che Giorgio aveva visto a casa sua, in un bar, qui il ragazzo chiese al padre: “Come mai nessuno si è allarmato quando quel vagone ha deragliato?” Il padre se la cavò con una battuta: “Noi dobbiamo comunque lavorare, vorrà dire che nei prossimi giorni ripareremo quei vagoni per assicurarci che non succeda più e che quel prezioso carico riesca finalmente a partire!” Non nascondendo una certa ironia che strappò sorrisi a tutti i colleghi che stavano mangiando con loro. In questo modo la curiosità di Giorgio crebbe a dismisura, perché da ragazzo, intelligente com’era, capiva che c’era qualcosa che non andava.
La sera dopo cena ripropose il quesito e il padre stavolta si rivolse al figlio in modo molto serio: “Sono contento che tu me lo abbia chiesto, oggi al lavoro non potevo parlartene apertamente. Vedi Giorgio” proseguì con tono grave “Oggi ti ho portato con me per farti vedere dove lavoro perché sembra ci sia la possibilità che assumano dei ragazzi e volevo vedere se la cosa poteva interessarti. Potresti imparare il mestiere e costruirti un futuro”. Il ragazzo fu molto felice di questa proposta: “Certo che mi piacerebbe! Il lavoro sembra bello e poi lavorare con te sarebbe fantastico!” Il padre fu ovviamente compiaciuto della reazione di Giorgio, ma non aveva ancora finito: “Però devi sapere un’altra cosa molto importante: ormai sei grande ed è bene, visto quello che sta succedendo in questo Paese che tu prenda coscienza di come stanno le cose”. Giorgio non capiva, guardava il padre un po’ spaventato. “Da quando sono arrivati al potere i fascisti, io e i miei compagni di partito abbiamo lavorato per contrastarli, e questo lavoro l’ho ottenuto grazie a loro per organizzare la Resistenza dei Ferrovieri. Noi lavoriamo per le ferrovie, ma contemporaneamente sabotiamo i trasporti che interessano di più il regime, come per esempio, il trasporto delle armi, come hai visto oggi. L’opportunità di un lavoro per te è un’occasione da non perdere, ma se dovessi decidere di accettare, riterrei giusto che tu sapessi anche l’altra attività che svolgiamo, anche perché potrebbe esporti a dei pericoli.” Giorgio rimase inizialmente spiazzato, ma prese coraggio e rispose: “Papà non voglio che tu rischi di passare guai o, peggio ancora, rischi la vita! Ma che ci frega a noi dei fascisti? Io voglio lavorare con te, ma non voglio saperne delle altre cose.” Il padre rimase in silenzio allora Giorgio chiese: “Sei arrabbiato?” Il padre riprese parola e disse: “No, assolutamente Giorgio non sono arrabbiato, ma credo che tu debba crescere e capire che quanto sta succedendo è molto grave e non si può assistere e basta…”
Una settimana dopo, in un pomeriggio primaverile, suonò il campanello alla porta, andò la madre, seguita da Giorgio e dalla sorellina. Aperta la porta, trovarono una guardia fascista, la madre ordinò ai figli di andarsene. Quando tornò era in lacrime e tra i singhiozzi disse: “Papà è morto in un incidente sul lavoro!” Giorgio rimase immobile, mentre sua sorella scoppiò in lacrime. Al funerale parteciparono molti colleghi del papà e Giorgio riconobbe tutti quelli con cui aveva mangiato il giorno in cui era andato allo scalo e che ormai erano per lui quelli della resistenza dei ferrovieri.
La morte del padre tolse qualsiasi possibilità di scelta, Giorgio fu costretto ad andare a lavorare allo scalo e assicurare così il sostentamento della famiglia. Il lunedì iniziò a lavorare e, durante la pausa pranzo, vide i “sabotatori” andare al solito posto, ma lui rimase in disparte. Aveva deciso di ignorarli e così fece per tutto il mese seguente, pranzava sempre da solo.
Un giorno, un giovane ferroviere, che non aveva neanche vent’anni, si sedette accanto a Giorgio che lo guardò sorpreso: “Stai sempre da solo, lavori, pranzi, lavori e te ne torni a casa senza scambiare una parola con nessuno… Perché? Non ti siamo simpatici?” Giorgio non sapeva cosa dire, ma il giovane ferroviere, che si chiamava Giovanni, aveva un modo di fare scanzonato e riuscì a tirargli fuori un sorriso, cosa che non accadeva da quando il padre se n’era andato. I due iniziarono a chiacchierare e con il passare dei giorni si può dire che erano praticamente amici.
Una volta, mentre tornavano a casa insieme, Giovanni, gli disse: “Ti devo dire una cosa di assoluta importanza, però prima devi promettermi che mi perdonerai per non avertelo detto prima.” Giorgio un po’ perplesso, gli disse di andare avanti: “Te lo prometto.” Allora Giovanni riprese: “Tuo padre non è morto per un incidente… L’incidente è stato inscenato dai fascisti che avevano scoperto che lui faceva parte dei sabotatori. Non l’ho detto a nessuno perché ho paura, sai che fine fanno quelli che si mettono contro i fascisti!” Stava per riprendere a parlare, ma fu fermato da Giorgio che chiese: “Ma sei sicuro di quello che dici?” Era sconvolto, rimase in silenzio per qualche interminabile istante, poi si rivolse a Giovanni con grande dolcezza: “Comunque ti capisco, quelle guardie metterebbero paura a chiunque!” Giovanni rincuorato disse: “Grazie mille Giorgio. Ci vediamo domani al lavoro.” Detto ciò, se ne andò lasciando Giorgio sconvolto per le notizie avute.
Tornato a casa, andò sul suo letto senza dire una parola e senza neanche mangiare. Passò tutta la notte a elaborare le notizie avute in giornata e riuscì a collegare tutto: probabilmente il padre era stato scoperto nell’intento di sabotare, ma non era stato ucciso sul momento e quindi hanno finto un incidente per non dare nell’occhio. Inizialmente si infuriò con il padre che, come lui aveva temuto, aveva messo in gioco la propria vita, ma poi prevalse la rabbia contro chi glielo aveva portato via e allora si vergognò molto per quello che aveva detto al padre, per aver sottovalutato la ferocia fascista e per aver criticato l’attività antifascista del padre e dei suoi colleghi. Decise quindi che si sarebbe unito alla resistenza per vendicarsi dei fascisti e per far in modo che nessun altro passasse quello che aveva passato lui.
Il giorno dopo, durante la pausa Giorgio avvicinò uno dei colleghi che sapeva far parte delle squadre di sabotaggio e si fece dire chi era il capo e gli chiese se potesse prendere il posto del padre. Fu sottoposto ad una specie di esame nel quale capirono che non era una spia e che era davvero motivato ad entrare e lo accettarono, seppure all’inizio solo con funzioni di supporto. Con il tempo capì che la resistenza dei ferrovieri c’era in tutta Italia e si coordinavano per far arrivare in ritardo i treni e anche per altri tipi di sabotaggi. Negli anni, Giorgio iniziò a essere sempre più parte attiva della resistenza, poiché era molto veloce e agile, molti compiti difficili venivano affidati a lui che li eseguiva con determinazione e con tanto impegno derivato anche dalla sua coscienza politica che cresceva ogni giorno. Con la tensione internazionale che cresceva nel periodo immediatamente precedente la Seconda guerra mondiale, i sabotaggi si fecero più frequenti e andarono a colpire i carichi di armamenti in tutta Italia; questi lavori venivano svolti prevalentemente dai più piccoli e agili e Giorgio si mise in mostra scalando posizioni internamente alla resistenza.
L’aumento della frequenza dei sabotaggi portò i fascisti ad intervenire con sempre maggiore violenza e determinazione, così i ferrovieri rivoluzionari catturati furono moltissimi e Giorgio si ritrovò a diventare capo della sua squadra per capacità, coraggio e convinzione politica. Ormai aveva dedicato la sua vita alla resistenza mettendo da parte la ricerca della propria felicità per mettersi al servizio della Causa.
Con l’ingresso dell’Italia in guerra ovviamente la situazione precipitò, l’attività di sabotaggio diventò sempre più rischiosa e oltre ai fascisti ci si doveva confrontare anche con i tedeschi. Tutto questo non fermò i sabotaggi, ma con l’8 settembre fu necessario un salto di qualità e il 10 settembre del 1943 iniziò quella che fu definita la guerra dei ferrovieri con lo scontro armato alla stazione Termini che durò quattro ore e che portò a tredici morti, tra civili e militari tedeschi e italiani. Da quel momento, la resistenza diede filo da torcere ai nazifascisti e i ferrovieri furono sempre in prima linea. Giorgio moltiplicò i suoi sforzi e il suo impegno per combattere e sabotare gli occupanti; infatti, la sua squadra di Tiburtina fu una delle più attive nonostante la stretta sorveglianza e il 18 febbraio 1944 tutte le squadre di Roma, in particolare quelle di Roma Tiburtina e Roma Trastevere, si organizzarono per fare un attacco coordinato. La squadra di Roma Trastevere con una rischiosissima azione offensiva rovesciò un vagone pieno di munizioni tedesche, un’altra squadra fece saltare tre vagoni di esplosivi tedeschi e infine la squadra di Tiburtina, comandata da Giorgio, liberò trecentocinquanta deportati dal Meridione in transito verso i campi di concentramento. Giorgio in quell’azione rischiò il tutto per tutto: con grande coraggio salì sul vagone pieno di soldati nazifascisti che lo videro e gli spararono a una gamba, ma lui riuscì comunque a sganciare i vagoni tenendosi con una mano sola sul lato del treno in corsa e riuscì a gettarsi dal treno in corsa poco prima di un burrone. Rimase gravemente ferito e fu costretto a nascondersi per lungo tempo a causa della grave ferita alla gamba che lo tenne fuori dall’azione, ma non gli impedì di continuare a dare il suo supporto alla resistenza fino alla vittoria con la cacciata dei nazifascisti dall’Italia.
Alla fine della guerra gli fu conferita la medaglia d’oro della resistenza che lui portò sulla tomba del padre dal quale tutto questo era iniziato.
Leonardo Fiorentini