Era l’anno 1901, Agnese si era appena svegliata quella mattina, il sole non si era ancora levato, era piovuto tutta la notte, per questo c’era molta umidità. La donna si stava preparando per un’altra dura giornata di lavoro: si infilò le lunghe calze di cotone e una gonna fiorata, in testa si mise un fazzoletto bianco ben tirato sul viso lasciando sciolti i suoi bellissimi capelli biondi, l’unico vezzo che si concedeva. Prima di andarsene andò a salutare sua figlia Adelina che era già sveglia anche lei da un bel pezzo. Erano appena le cinque del mattino e mentre la donna stava per uscire dalla sua piccola casa in mezzo al nulla vide spuntare il sole. La figlia allora disse: “Mamma che meraviglia l’alba vero?”. “Si è sempre bellissima ed emozionante. Un nuovo giorno che sta per nascere, figlia mia, dobbiamo esserne felici!” Sorrise alla piccola, ma nella sua mente sapeva che ogni volta l’alba le trasmetteva un’infinita tristezza perché per lei rappresentava anche l’inizio di un lunga giornata di lavoro. Agnese è una giovane vedova di ventisette anni, nata in un piccolo paese vicino Pavia, nell’Italia del 1874 ed è una mondina. La figlia Adelina, invece, è una piccola bambina di nove anni, vivace e molto responsabile per la sua età. Era da qualche anno, da quando Adelina ne aveva memoria, che facevano su e giù tra il Piemonte e la Lombardia, infatti Agnese in primavera veniva chiamata, insieme ad altre lavoratrici stagionali come lei, dagli agrari del Vercellese per estirpare le erbacce che crescevano insieme alle pianticelle di riso. Finiti i mesi previsti, le due ritornavano a Pavia dove avevano un’umile casetta in una stradina nel centro della città. Non era trascorsa neanche una settimana lavorativa presso le risaie, che Agnese era già molto stanca e provata. Una volta che la donna uscì di casa, in realtà una piccola stanza di un casolare vicino ai campi di riso dove dormivano e mangiavano, percorse un lungo tratto a piedi in mezzo ai campi coltivati del Piemonte, << un bel panorama >> si ripeteva sempre Agnese, << bello solo se non sei tu che ci lavori dentro >>. Alla fine arrivò nella risaia presso cui lavorava, insieme a un’altra settantina di donne a lei sconosciute, anche loro come Agnese sradicate dalle loro famiglie e dalla loro città e per nulla integrate con i contadini del Vercellese, che disperate accettavano di tutto pur di avere un lavoro con cui mantenere le proprie famiglie. Erano le 5:30 del mattino e la giovane stava già lavorando, con la schiena curva e le gambe immerse nell’acquitrino. Mentre lavorava doveva lottare anche con le zanzare e le sanguisughe, dei grandi vermi delle paludi che, grazie ad una bocca a ventosa, si attaccavano alle gambe e succhiavano il suo sangue lasciando doloranti le ferite. Dopo aver passato dodici ore china a raccogliere le erbacce, finalmente Agnese finì il suo turno di lavoro. Alle 17:30, lei e le altre mondine andarono a riscuotere le loro misere paghe e se ne andarono ognuno per la propria strada. La donna però prima di tornare a casa andò a comprare un po’ di fagioli per la cena, avrebbe preparato: una bella zuppa di riso e fagioli per la sua Adelina. Mentre stava per andarsene il signor Alfio, il proprietario della bottega, disse alla giovane: “Ei, tu aspetta volevo chiederti se vuoi acquistare questo giornale, è di una settimana fa però magari può esserti utile per sapere cosa sta accadendo lontano da queste campagne”. La donna all’inizio era un po’ titubante, ma poi pensò che alla sua piccola avrebbe fatto bene cominciare ad imparare a leggere, così decise di acquistarlo finendo però tutto il suo stipendio giornaliero. Arrivata a casa Adelina chiese alla mamma: “Mamma, mamma come mai sei rientrata così tardi?” “Ho fatto tardi lo so, ma ho una sorpresa per te”. Così detto mostrò alla figlia un grosso pezzo di carta con tante scritte nere, Adelina all’inizio rimase un po’ perplessa. “Questo è un giornale tesoro e ci servirà perché oggi ti insegnerò a leggere. Sei fortunata perché mio padre mi ha insegnato molto bene perciò ora sarò io ad insegnarlo a te.” La piccola era così emozionata che dopo aver divorato la sua piccola porzione di minestra, iniziò a leggere il giornale in compagnia della mamma al lume di candela. Passarono i giorni e mentre Agnese andava a lavorare Adelina trascorreva il suo tempo leggendo e rileggendo quel giornale. Quando la madre tornava dal lavoro lei glielo leggeva nuovamente ad alta voce e si poteva vedere lontano un miglio la faccia orgogliosa di Agnese nel vedere la figlia sempre più brava a leggere. Il tempo volò e anche giugno arrivò; era ora di ritornare a casa in Lombardia. Così quando Agnese tornò dal lavoro la piccola si fece trovare già pronta con le sue poche cose, fuori dalla porta ad aspettarla e, dopo un leggero pasto, le due si incamminarono verso la loro Pavia. Dopo una settimana di viaggio arrivarono finalmente a casa, ma subito dopo Agnese svenne: non mangiava da giorni ed era esausta a causa degli anni passati nelle risaie, le malattie causate dalla scomoda posizione e dall’umidità. Adelina rimase un secondo immobile davanti alla madre, poi uscì di casa e cercò aiuto. Per fortuna nell’appartamento affianco al loro c’era un’anziana signora che conosceva le due da molto tempo e quando sentì la piccola urlare andò subito a vedere cosa fosse accaduto. La vicina aiutò Adelina ad alzare la madre e delicatamente la sdraiarono sul letto. “Poverina, è bollente!” Disse la signora, “Gliel’ho sempre detto di non accettare quel lavoro peggio che bestiale”. Adelina era preoccupata per la sua mamma, ma la donna cercò di rassicurarla dicendole che si trattava della febbre da riso, niente di grave, ma doveva stare a riposo per un po’. La cara signora se ne andò e la bambina mentre guardava la madre stesa sul suo letto iniziò a perdersi nei suoi pensieri. Si chiedeva come avrebbe fatto a mangiare visto che Agnese non poteva di certo lavorare. Così decise: “Devo cercarmi assolutamente un bel lavoro!” Disse la piccola speranzosa. Diede alla madre un pasto caldo, le mise un’altra coperta e uscì di casa alla ricerca di un lavoro. Vagò per tutta la città in lungo e in largo, ma non trovò nulla, così sconsolata decise di tornare a casa per vedere come stava la madre. Davanti alla porta trovò ad aspettarla la sua vicina che le annunciò una bella notizia: “Sai cara, ho saputo che nella mia fabbrica, una delle più grandi e importanti del territorio, cercano dei bambini così gli ho detto che conoscevo una bambina molto svelta e intelligente che avrebbe fatto proprio al caso loro. Domani piccola inizi il tuo primo giorno di lavoro”. Adelina era felice perché avrebbe potuto guadagnare qualcosa per mantenere lei e la madre, ma era consapevole del fatto che lavorare in fabbrica non era una passeggiata e le sue giornate sarebbero state molto dure e intense. Infatti, anche se per l’epoca assumere bambini era normale perché faceva comodo agli imprenditori avere manodopera a buon mercato, Agnese era sempre stata contraria poiché non voleva che Adelina venisse sfruttata, ma soprattutto non voleva rubare l’infanzia a sua figlia richiudendola in una fabbrica per così tante ore. Infatti fu così, la piccola tornava a casa dal lavoro sempre esausta, alcuni giorni non poteva andarci perché i lavoratori della fabbrica scioperavano, infatti durante quei giorni le strade erano piene di persone che manifestavano in cortei e distribuivano volantini che servivano ad informare i cittadini sui motivi delle loro lotte. Questi cortei però venivano sempre fermati dall’esercito che sparava sulla folla inerme. Se ti fossi affacciato alla finestra dopo uno sciopero, si sarebbero potuti contare centinaia di cadaveri! Nonostante questo fervore, passavano i giorni, le settimane e Agnese guariva sempre di più. Intanto arrivava il freddo, poi la primavera e di nuovo l’estate e gli scioperi diventavano sempre più frequenti. Era ormai piena estate, il 19 luglio del 1902, quando Adelina, tornando dal lavoro, decise di acquistare un giornale giacché aveva notato che l’atmosfera era più gioiosa del solito. Arrivò a casa e iniziò a leggerlo alla madre che ormai aveva ripreso in pieno le sue forze: “Grazie a Giolitti ora i bambini possono vivere la loro infanzia!” Questo era il titolo del giornale. Entrambe incuriosite continuarono a leggere tutto l’articolo e scoprirono che finalmente qualcuno al governo aveva varato una legge sul lavoro minorile fissando il limite minimo d’età a 12 anni e a 15 per i lavori notturni e pesanti. Inoltre Giolitti, il presidente del consiglio in Italia, aveva varato una legge sul lavoro femminile che diminuiva l’orario di lavoro giornaliero. Una volta finita la lettura dell’articolo sentirono bussare alla porta: era la loro cara vicina. “Avete sentito, Adelina non dovrà più lavorare. Che notizia fantastica!” “Sì, l’abbiamo appena letto!” Disse Agnese. “Visto che ormai mi sento molto meglio, ho deciso che tornerò a lavorare, è giunto il momento che torni a mantenere la mia famiglia.” “Che bella notizia!” Disse l’anziana signora, “Magari puoi venire a lavorare con me in fabbrica ora che gli stipendi sono leggermente aumentati.” Nei mesi seguenti Adelina cominciò finalmente a frequentare la scuola, dove incontrò molti bambini trascorrendo con loro momenti spensierati e felici, riprendendosi la sua infanzia.
Angelica Martinelli