AGI – Il nuovo piano industriale che stasera ArcelorMittal ha presentato al Governo prevede meno occupati e meno produzione rispetto alle linee dell’accordo di marzo scorso, quando si chiuse davanti al Tribunale di Milano il conflitto giudiziario, con recesso dal contratto di fitto, aperto dalla multinazionale verso Ilva in amministrazione straordinaria.
Quell’intesa prevedeva che il piano industriale, proiettato sul 2025, si sarebbe basato su una produzione di 8 milioni di tonnellate, tra forno elettrico e altoforno, e 10.700 occupati, la forza attuale. Inoltre, sarebbe stato rifatto l’altoforno 5 il piu’ grande d’Europa e lo Stato sarebbe entrato nella compagine societaria. Adesso, nel piano presentato questa sera, gli occupati nel 2025 saranno 7500. Il che vuol dire che ci sono 3200 esuberi diretti rispetto all’organico di gruppo attuale
Il mercato dell’acciaio
Alcune fonti vicine al dossier fanno notare che il mercato dell’acciaio, che era già in forte crisi nel secondo semestre 2019, ha registrato un aggravamento della crisi causa Covid. Lo stesso amministratore delegato di ArcelorMittal, Lucia Morselli, nella call conference del 25 maggio con Governo e sindacati metalmeccanici, ha detto che ogni giorno l’azienda riceve mail di clienti che sospendono o rinviano gli ordini di lavoro.
Di qui, il ridimensionamento della produzione che però le stesse fonti fanno notare che potrebbe anche risalire qualora, nell’ambito delle politiche di rilancio economico post Covid del Paese, partissero interventi – come, per esempio, la rottamazione o le infrastrutture – in grado di dare respiro anche all’industria siderurgica in quanto fornitrice di materia prima.
I numeri del piano
In realtà, però, se ai 3200 diretti si sommano anche i circa 1800, tra Taranto e Genova, di Ilva in amministrazione straordinaria, che sono in cassa integrazione straordinaria, si arriva ad un numero secco di 5 mila esuberi. Perché il nuovo piano chiude definitivamente ogni possibilità di reinserimento in fabbrica per i lavoratori di Ilva in as.
Cala pure la produzione: non più 8 milioni ma 6 milioni di tonnellate, con possibilità di rivedere l’assetto produttivo solo se il mercato dell’acciaio dovesse riprendersi dalla crisi e la fase post Covid fosse superata. Stop anche al rifacimento dell’altoforno 5. Mentre resta confermata la volontà, da parte di ArcelorMittal, di aprire allo Stato e quindi alla partecipazione pubblica.
La richiesta del prestito con garanzia Sace
Un miliardo valuta ArcelorMittal questo ingresso. Ma la società chiede pure 600 milioni di prestito con garanzia Sace, 200 milioni di contributo Covid a fondo perduto, piu’ altre risorse da quanto l’amministrazione straordinaria ha ricevuto dalla transazione con i Riva, ex proprietari Ilva. Totale delle richieste di ArcelorMittal, 2 miliardi.
Nessun commento per ora da parte del Governo che vuole studiare il piano prima di pronunciarsi. Ma già il ministro Stefano Patuanelli (Mise) aveva detto di attendersi un piano contrario all’accordo di marzo, affermando che se ArcelorMittal vuole andare via, tanto valeva chiudere subito.
La reazione dei sindacati
In attesa che il Governo faccia sapere il suo punto di vista, è scattato già lo sbarramento dei sindacati. Scioperi ormai in vista e conflitto ancor più duro. Per Francesca Re David, segretaria Fiom Cgil, “è inaccettabile qualunque soluzione che smentisca l’accordo che abbiamo fatto che prevedeva zero esuberi. Riteniamo che questo piano sarà giudicato irricevibile anche dal Governo”.
Per Marco Bentivogli, segretario Fim Cisl, “non sono accettabili gli esuberi dichiarati intorno alle 3.300 unita’ e una produzione che si assesterebbe intorno ai 6 milioni di tonnellate annue”. Infine, Rocco Palombella, segretario Uilm, sostiene: “Chiediamo al Governo di farci conoscere immediatamente il contenuto di questo piano perché sarebbe inaccettabile che migliaia di lavoratori e intere comunità rimanessero appesi a notizie non confermate ufficialmente o nuovamente a piani industriali secretati. Patuanelli convochi subito incontro al Mise”.
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Fonte: agi.it