HomeEconomia & LavoroCoronavirus e lockdown, il pesante conto per le imprese

Coronavirus e lockdown, il pesante conto per le imprese

AGI –  In piena emergenza coronavirus, tra marzo e aprile, oltre 4 imprese su 10 hanno visto dimezzare il valore del loro fatturato e oltre la metà (il 51,5%, con un’occupazione pari al 37,8% del totale) prevede una mancanza di liquidità per far fronte alle spese che si presenteranno fino alla fine del 2020. A fare il punto sulla “crisi economica che ha colpito il sistema produttivo” a seguito dell’emergenza Covid-19 è l’Istat, che in un report ad hoc che analizza la situazione e le prospettive delle aziende italiane. Le imprese sospese fino al 4 maggio sono state il 45% e il 38% (con il 27,1% di occupati) segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività. Inoltre, il 42,8% ha richiesto il sostegno per liquidità e credito previsto nei decreti Cura Italia e Imprese. La Cig è stata utilizzata dal 70% delle aziende e, una volta terminata l’emergenza, le imprese hanno rivisto gli spazi per garantire il distanziamento (e la ripresa). Ma per 14,4% è risultato impossibile. La rilevazione è stata condotta tra l’8 e il 29 maggio 2020, con “l’obiettivo di raccogliere valutazioni direttamente dalle imprese in merito agli effetti dell’emergenza sanitaria e della crisi economica sulla loro attività”, spiega l’istituto nella premessa.

Ecco nel dettaglio i principali aspetti che emergono dalla fotografia scattata dall’Istat.

– ​45% IMPRESE CON OLTRE I 3 ADDETTI HA SOSPESO LE ATTIVITÀ

Nella fase 1 dell’emergenza sanitaria il 45% delle imprese con 3 e più addetti (458 mila, che assorbono il 27,5% degli addetti e realizzano il 18,0% del fatturato) ha sospeso l’attività. Per il 38,3% (390 mila imprese) la decisione è stata presa a seguito del decreto del Governo mentre il 6,7% (68 mila) lo ha fatto di propria iniziativa. Sono invece il 22,5% (229 mila, che rappresentano il 24,2% degli addetti e il 21,2% del fatturato) le imprese che sono riuscite a riaprire prima del 4 maggio dopo un’iniziale chiusura, spiegando la decisione in diversi modi: a seguito di ulteriori provvedimenti governativi (8,8%), attraverso una richiesta di deroga (5,9%) o per decisione volontaria (7,7%).  Oltre tre imprese su 10 (32,5%) sono rimaste sempre attive (331 mila); questa quota di imprese è la più rilevante dal punto di vista economico e dell’occupazione in quanto rappresenta il 48,3% degli addetti e il 60,9% del fatturato nazionale.

– OLTRE METÀ IMPRESE PREVEDE UNA MANCANZA DI LIQUIDITÀ

La crisi economica che ha colpito il sistema produttivo a seguito dell’emergenza sanitaria, produce – nelle valutazioni delle imprese – effetti di medio periodo per quasi nove aziende su dieci. Oltre la metà delle imprese (51,5%, con un’occupazione pari al 37,8% del totale) prevede una mancanza di liquidità per far fronte alle spese che si presenteranno fino alla fine del 2020 e il 38,0% (27,1% il loro peso occupazionale) segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività. La mancanza di liquidità è tanto più diffusa quanto minore è la dimensione aziendale, interessata anche da una dinamica più negativa del fatturato. Dal punto di vista settoriale è più accentuata per le imprese delle costruzioni, soprattutto se piccole (che rappresentano il 56,4% del totale) e per le micro imprese dell’industria in senso stretto (56,0%). 

– ATTIVITÀ SOSPESE PER METÀ IMPRESE COSTRUZIONI E NEI SERVIZI

A livello settoriale, sono soprattutto le imprese delle costruzioni e dei servizi ad aver sospeso l’attività: rispettivamente il 58,9% e il 53,3% rispetto al 36,0% dell’industria in senso stretto e al 30,3% del commercio. Oltre il 70% delle imprese (che rappresentano il 73,7% dell’occupazione) dichiara una riduzione del fatturato nel bimestre marzo-aprile 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019: nel 41,4% dei casi il fatturato si è più che dimezzato, nel 27,1% si è ridotto tra il 10% e il 50% e nel 3% dei casi meno del 10%. Nell’8,9% delle imprese il valore del fatturato è invece rimasto stabile.

– ​CIG PER FRONTEGGIARE LA CRISI NEL 70% DELLE AZIENDE  

Oltre il 70,2% delle aziende con almeno 3 addetti ha fatto ricorso alla Cassa integrazione guadagni (Cig) o a strumenti analoghi come il Fondo integrazione salariale (Fis), per fronteggiare gli effetti dell’epidemia Covid-19. Altre misure di gestione del personale – spiega l’Istat – hanno avuto una applicazione più circoscritta: l’obbligo delle ferie per i dipendenti (o iniziative temporanee per ridurre il costo del lavoro) e la riduzione delle ore o dei turni di lavoro sono state indicate rispettivamente dal 35,9 e dal 34,4% delle imprese; l’introduzione o diffusione del lavoro a distanza ha coinvolto quasi un quarto delle unità mentre il rinvio delle assunzioni previste, la rimodulazione dei giorni di lavoro e la formazione aggiuntiva dei lavoratori hanno riguardato una percentuale di imprese compresa tra il 10 e il 13,5%. 

– È BOOM SMART WORKING

Il lavoro a distanza ha coinvolto quasi un quarto delle imprese italiane durante l’emergenza sanitaria: il 90% delle grandi imprese (250 addetti e oltre) e il 73,1% delle imprese di dimensione media (50-249 addetti) hanno introdotto o esteso durante l’emergenza Covid lo smart working. La percentuale scende al 18,3% nelle microimprese (3-9 addetti) e al 37,2% nelle piccole (10-49 addetti). Nei mesi immediatamente precedenti la crisi (gennaio e febbraio 2020) – spiega l’Istat – escludendo le imprese prive di lavori che possono essere svolti fuori dai locali aziendali, solo l’1,2% del personale era impiegato in lavoro a distanza. Tra marzo e aprile questa quota sale improvvisamente all’8,8%. L’incidenza di personale impiegato in modalità agile arriva al 21,6% nelle imprese di medie dimensioni dal 2,2% di gennaio/febbraio mentre nelle grandi dal 4,4% dei primi due mesi dell’anno accelera fino al 31,4%. 

– PAROLA D’ORDINE PREVENZIONE: 96,7% IMPRESE HA SANIFICATO AMBIENTI E DATO DPI  

La quasi totalità delle imprese (96,7%) ha provveduto a sanificare gli ambienti di lavoro e ha dotato i propri dipendenti di dispositivi di protezione individuale (Dpi). Inoltre, tra le imprese non cessate o comunque in condizione di riaprire entro l’anno, il 59,9% (70,2% dell’occupazione) fa eseguire il controllo della temperatura ai dipendenti. econdo l’Istat, le imprese italiane dichiarano una forte attenzione alle misure di precauzione e contrasto all’epidemia: il 49,1% (68,5% dell’occupazione complessiva, circa 8,8 milioni di addetti) ha messo in atto strategie integrate di precauzione, prevedendo cioè l’utilizzo congiunto di almeno una delle misure per le diverse categorie di intervento, mentre solo il 2,9% (1,7% dell’occupazione, circa 214 mila addetti), non ha predisposto alcuna misura. Nel 69,8% dei casi si sono messe in atto strategie informative o procedure di triage, nel 69,7% sono state previste forme di adattamento dell’organizzazione del lavoro e dei processi produttivi. Poco meno di due imprese su tre (65,9%) hanno definito misure legate ai protocolli sindacali e alla formazione. 

– IMPRESE ADEGUANO SPAZI LAVORO, MA 14,4% IMPRESE NON PUÒ GARANTIRE DISTANZIAMENTO

Il 56,3% delle imprese (63,2% in termini di occupazione) ha già adottato l’adeguamento degli spazi di lavoro per assicurare il distanziamento fisico dei lavoratori, il 29,3% (26,7% degli addetti) non ha ancora provveduto ma afferma di poterlo fare, ma il 14,4% (10,1% di addetti) dichiara che gli spazi di lavoro risultano impossibili da adeguare. Dal punto di vista settoriale – fa notare l’Istat – l’adozione di questa misura risulta particolarmente difficoltosa nelle costruzioni, dove il 41,9% delle imprese ha provveduto all’adeguamento mentre il 29,4% afferma di non essere nella condizione di farlo. Le difficoltà sono decisamente minori nel comparto del commercio: ha provveduto ad adeguare gli spazi lavorativi il 68,1% delle imprese e solo il 10,2% ritiene che non sia possibile. La difficoltà a riadattare gli spazi di lavoro dipende poi molto dalla dimensione aziendale. A dichiararsi impossibilitate a farlo sono il 15,3% delle micro-imprese e l’11,6% delle piccole (che insieme rappresentano il 7,2% dell’occupazione complessiva).

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Fonte: agi.it

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