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A un anno dalla scoperta del Paziente 1, nel Lodigiano gli ospedali sono ancora in emergenza: manca personale e fare esami è quasi impossibile

È il 21 febbraio 2020, a Codogno viene identificato il paziente 1 che fa piombare nell’incubo dieci Comuni del Lodigiano, tutti messi in quarantena. Un fatto inedito, sconvolgente. Poi l’incubo si espande dal Nord Italia al resto del Paese e quindi in Europa e nel resto del mondo. Il coronavirus non è più solo un problema della Cina, ha scavalcato i confini di Wuhan. In un mondo globalizzato e interconnesso come il nostro non c’era da stupirsene. E oggi, a un anno di distanza, che ne è di quelle strutture sanitarie del Lodigiano che per prime hanno fronteggiato la pandemia e hanno rischiato di collassare sotto le migliaia di persone contagiate nei mesi successivi alla scoperta del virus in Italia?

Il 2020 è stato un anno difficile per le strutture ospedaliere locali, disguidi e ritardi erano inevitabili visto che ci si è dovuti concentrare sulle urgenze. Resta da capire se può essere ritenuto normale che un ecocardiogramma di controllo per un cardiopatico, con alle spalle un intervento a cuore aperto, un pacemaker e altre serie patologie, da maggio 2020 sia stato spostato a novembre 2020. E che anche l’appuntamento di novembre sia stato sospeso “perché qui è tutto chiuso, la richiameranno dal Cup”. A fine gennaio non è stata ancora ricevuta alcuna chiamata e il paziente ha optato per un controllo privato. Tutto questo senza nessuna certificazione scritta, perché le comunicazioni vengono fatte solo telefonicamente. Ecco le confidenze di chi lavora all’interno dei presidi del Basso Lodigiano: “A Lodi bene o male adesso i pazienti riescono a fare le visite, ma le strutture di Codogno e Casalpusterlengo sono lasciate alla deriva. A Codogno non si possono effettuare ancora gli ecocardiogrammi, i test da sforzo, non ci sono più ortopedici. Anche le ecografie sono chiuse, si fanno solo le urgenze. Tante cose non sono state ripristinate, come l’otorino, l’urologo ha invece ripreso su Codogno da meno di un mese. La riabilitazione cardiologica inaugurata da Gallera, di fatto, non è mai stata aperta. Per le mammografie di controllo, sempre su Codogno, è già stata riempita tutta l’agenda del 2021. Delle 4 sale operatorie ne vengono usate una o due, perché non ci sono posti letto, i pazienti di chirurgia sono stati accorpati al reparto di medicina”.

Le difficoltà maggiori le hanno affrontate i malati oncologici: visite sospese, non sapevano dove fare le tac di controllo con liquido di contrasto. Nel presidio di Casalpusterlengo, specializzato appunto in cure oncologiche, sono andati persi tutti i posti letto e non sono ancora stati ripristinati: forse saranno spostati definitivamente a Codogno, o addirittura assorbiti da Lodi. “La maggior parte dei malati oncologici si è rivolta a Cremona e Piacenza. E chi aveva la possibilità al privato – confidano dal Cup – Infatti la libera professione non si è quasi mai fermata, per quello la paura non c’era. Alcune specializzazioni hanno riaperto prima nel privato che nel pubblico”.

Chi ha deciso di rivolgersi a Piacenza, nella vicina Emilia-Romagna, nota questa particolarità: il paziente cronico viene preso in carico dalla struttura a cui ci si rivolge, che gestisce anche le visite di controllo. Insomma, non si viene lasciati in balia di lunghe code per le prenotazioni, che magari poi offrono appuntamenti sì in strutture della Lombardia, ma più lontane e più scomode. Queste carenze, emerse con la pandemia, sono legate anche alla riduzione delle Asst in Regione Lombardia e ad una concezione “ospedalocentrica” che ha penalizzato la medicina territoriale. Per questo i pazienti non-Covid non sono riusciti a proseguire il proprio percorso terapeutico, perché sulle strutture sanitarie si sono riversati i pazienti Covid. Non solo quelli gravi, ma anche quelli che potevano essere seguiti con altri percorsi.

“Una gestione, quella di Asst Lodi, clamorosamente in ritardo – dichiara Marta Cobianco, consigliera comunale del Movimento 5 Stelle a Casalpusterlengo – I fondi stanziati dal Governo con il Decreto Cura Italia servivano anche per la prevenzione sul territorio. Dovevano essere impiegati per implementare le famose Usca (Unità Speciali di Continuità Assistenziale). E a riguardo c’è una delibera regionale del 23 marzo 2020. Avremmo già dovuto essere pronti molto prima della seconda ondata, invece sono arrivati solo due operatori (infermieri) per tutto il Lodigiano, fino a fine settembre. Entro fine ottobre ne sono stati aggiunti altri tre. Si sono fatti trovare colpevolmente impreparati. Di fatto in altre regioni come Veneto ed Emilia-Romagna si è agito subito ed è stata implementata la medicina territoriale. In Emilia poi si sono organizzati con ospedali solo Covid e altri presidi organizzati in modo da proseguire con le attività ordinarie. Regione Lombardia durante l’estate non ha fatto nulla. Di fatto cercano ancora di tamponare l’emergenza”.

Ed ecco un altro tasto dolente della gestione sanitaria lodigiana: il personale. Sì perché il disagio non riguarda solo tanti pazienti, ma anche chi lavora nelle strutture dell’Asst di Lodi. Medici, infermieri, operatori socio sanitari. Sono numerose le “lamentele” per un sistema che non funziona come dovrebbe e in cui si lavora male, con tutte le conseguenze e i pericoli del caso. “Lamentele” anonime, perché la policy aziendale vieta ai dipendenti di rilasciare dichiarazioni ai media senza l’autorizzazione dell’addetto stampa aziendale, come è stato opportunamente ricordato con una mail a tutti i dipendenti proprio il 21 febbraio 2020 e il successivo 4 marzo. “Il declino è iniziato da circa 10 anni, ho visto con i miei occhi andare tutto a scatafascio – racconta a Ilfattoquotidiano.it un operatore socio-sanitario – Non vengono fatte assunzioni e i buchi si tappano affidandosi alle cooperative. Ma è personale non formato adeguatamente e poi fanno turni un po’ qua e un po’ là. Non si riesce a lavorare bene insieme. E noi veniamo spremuti. Si lavora male, le cose le sappiamo dall’oggi al domani, ci tengono all’oscuro di tutto. Al mattino al posto di due c’è un solo Oss, una turnazione da 6 è stata ridotta a 3. Noi facciamo il possibile ma anche la giusta assistenza ai pazienti non può essere garantita in queste condizioni. Tanti miei colleghi si sono ammalati, da febbraio a dicembre 2020 ci hanno fatto solo 4 tamponi. Per il lavoro che faccio ritengo che avrebbero dovuto farmene almeno uno ogni 10 giorni. I colleghi giovani precari appena hanno potuto se ne sono andati, se potessi me ne andrei anche io”.

La mancanza di personale è una delle grandi questioni che affligge la sanità pubblica. Per il direttore Asst Lodi, Salvatore Gioia, che si è insediato a luglio 2020, siamo in linea con quello che succede nel resto del Paese: molti medici preferiscono la struttura dove si può fare carriera e tanti operatori sanitari cercano di vincere il concorso vicino a casa e appena possono si ricongiungono con la famiglia. Questo sicuramente non è il caso di una giovane infermiera del lodigiano, che ha invece preferito allontanarsi da casa per l’incertezza del suo futuro in Asst Lodi. “Ho lavorato per un anno, poi mi hanno rinnovata per altri sette mesi per sostituire una gravidanza. Al Sitra (Servizio Infermieristico Tecnico e Riabilitativo Aziendale) mi avevano detto che ci sarebbe stato un bando di stabilizzazione e mi avevano assicurato che avevo i requisiti per accedere. Ma poi, quando è uscito il bando, non è stato così, non ero idonea. Per mia fortuna proprio in quel periodo ho ricevuto la chiamata dall’Ospedale di Piacenza che mi assumeva a tempo indeterminato. Adesso come adesso non tornerei indietro, anche se con i miei ex colleghi mi trovavo bene ed ero vicino a casa, sarei rimasta nell’incertezza del rinnovo del contratto. E c’è da dire che a Piacenza l’organizzazione è tutta un’altra cosa, la gratificazione e l’importanza che viene data all’infermiere è completamente diversa, se c’è una problematica viene discussa e si cerca di risolverla, se un collega manca anche all’ultimo momento si cerca di sistemare subito le cose, non si chiedono turni allucinanti al personale per coprire”.

La mancanza di comunicazione e collaborazione tra azienda e personale è al centro anche di tante dimissioni del personale medico. Gli spostamenti sono all’ordine del giorno. Le decisioni vengono calate dall’alto, secondo le testimonianze, e rese note all’ultimo momento. E alcuni protocolli possono sembrare assurdi, secondo i racconti raccolti da Ilfattoquotidiano.it: se un paziente ricoverato a Casalpusterlengo (che ospita riabilitazione geriatrica e riabilitazione specialistica) ha un ictus o un infarto dopo le 17.00, quando non c’è il rianimatore, bisogna attivare la Lifecar aziendale che prevede anche la reperibilità del personale. Morale: per un soccorso in ospedale si può aspettare persino un’ora, quando a poche decine di metri dal presidio si trova la sede della Croce Casalese che potrebbe trasportare tempestivamente il paziente in ambulanza in un’altra struttura attrezzata.

Tutto si sta centralizzando a Lodi, l’hub centrale della provincia, lasciando in sofferenza due strutture, Casalpusterlengo e Codogno, che si stanno svuotando e che invece potrebbero decongestionare il polo di riferimento di un territorio che serve circa 230mila utenti. “Negli ultimi dieci anni a Codogno abbiamo perso ostetricia, ginecologia, punto nascite, ortopedia, pronto soccorso pediatrico, pediatria, cardiologia – conferma Rosanna Montani, consigliera comunale di Codogno della Lista Civica Codogno Insieme 2.0 – È rimasta chirurgia con una sola sala operatoria, dopo il Covid, prima erano quattro. Non c’è più l’urologo, c’è solo un diabetologo su due ospedali e radiologia non sta funzionando perché se n’è andato il medico. Il pronto soccorso è aperto ma non abbiamo un ortopedico (in un anno l’organico dell’ortopedia lodigiana è passata da 13 medici a 6). Ci avevano detto che sarebbero stati chiusi i reparti, ma che avrebbero aperto gli ambulatori, come quello del piede diabetico, e la riabilitazione cardiologica. Ma di fatto non stanno funzionando. Abbiamo chiesto per due anni a Gallera di venire in Consiglio comunale a riferire sulla situazione di Codogno, ma non si è mai presentato. In una situazione analoga i sindaci del Cremasco hanno fatto fronte comune, in maniera trasversale, senza divisioni di partito e hanno prodotto un documento per la Regione con proposte in base alle esigenze del territorio. Perché il lodigiano non fa altrettanto, visto che comuni e Regione sono governate dallo stesso partito e cioè dalla Lega?”.

La preoccupazione, nel Lodigiano, è che i continui tagli porteranno per forza di cose a chiusure. “Abbiamo il fondato sospetto che tra i piani futuri della sanità lombarda ci sia quello di cedere a cordate di privati che faranno ospedali specializzati per farne profitti – sostiene Stefano Lazzarini, rappresentante sindacale Confsal Lodi – Ci rivolgeremo a Crema-Lodi, mentre per Codogno-Casalpusterlengo ci saranno solo specializzazioni a pagamento. La gestione è volutamente pressapochistica. Non ci sono piani per il futuro, se non smantellare il pubblico a vantaggio del privato. Lasciano scappare medici e infermieri e sono contenti perché la gente si rivolge a Piacenza e a Cremona. Manca il personale, c’è tanta stanchezza, perché chi c’è deve fare i salti mortali. A livello locale il management con cui ci confrontiamo è telecomandato dalla Giunta regionale, non ha alcuna autonomia. La Regione Lombardia ha fatto a pezzettini la sanità lombarda, in particolare quella lodigiana, considerata come pattumiera”.

Negli ultimi due anni, su Asst Lodi, si sono avvicendati ben tre direttori generali: dopo lo spostamento di Giuseppe Rossi a Cremona, a gennaio 2019 è arrivato Massimo Lombardo che, a giugno 2020, è stato promosso agli Spedali Civili di Brescia, passando il testimone all’attuale DG Salvatore Gioia. E dalla Direzione Generale di Asst Lodi informano che per sopperire alle carenze di organico nel 2020 sono state bandite circa 80 procedure di reclutamento di nuovo personale sanitario attraverso concorsi e avvisi pubblici. Mancherebbero, alla rilevazione del 21 gennaio 2021: 35 medici di cui 27 per turnover, 42 infermieri di cui 19 di famiglia aggiuntivi all’attuale, 11 Oss di cui 7 per turnover. Oltre al personale della cooperativa sono attualmente presenti 16 medici militari e 21 infermieri militari, oltre a 61 medici, 51 infermieri e 84 Os con contratto atipico, figure legate alla situazione emergenziale. E sempre dalla Direzione Generale si specifica che “l’obiettivo è riaprire tutte le attività progressivamente, compatibilmente con l’andamento dell’emergenza sanitaria in atto e subordinato al reperimento delle figure mediche e infermieristiche necessarie. Tale obbiettivo si coniugherà necessariamente col riassetto complessivo dell’offerta sanitaria sia provinciale che regionale, con particolare riferimento agli obbiettivi di rafforzamento della sanità territoriale, che per quanto riguarda l’Asst di Lodi vedrà protagonisti in particolare i presidi di Casalpusterlengo e Sant’ Angelo, per i quali si prevede un rafforzamento delle attitudini assistenziale e cliniche”.

Ma il futuro, per gli ospedali di Codogno e Casalpusterlengo, non sembra affatto roseo, almeno per chi vive sul territorio. Proprio per questo sono nati due comitati che cercano innanzitutto di salvare quello che è rimasto recuperando anche quei servizi di base che negli ultimi anni sono stati cancellati. “Siamo un’organizzazione di natura totalmente apolitica e apartitica – dichiara il dottor Ongis, presidente del Comitato Civico Ospedali Codogno-Casalpusterlengo, uno dei pilastri della medicina interna del presidio casalino, ora in pensione – Abbiamo raccolto il disagio della popolazione e del personale sanitario che ha visto questi due ospedali gravemente penalizzati negli ultimi anni. Io ho lavorato per più di trent’anni qui, conosco la gente, so come lavoravamo e vedo come vanno ora le cose. Bisogna fare qualcosa. Nessuno si muove a livello di sindaci locali, nessuno prende posizioni, ma anche loro sono responsabili della salute dei propri cittadini”.

E poi c’è il Coordinamento lodigiano per il diritto alla salute, in cui confluiscono cittadini, rappresentati di associazioni, partiti e Cgil.
“Abbiamo iniziato a lavorare informalmente tra marzo e aprile, poi ci siamo costituiti ufficialmente in un’assemblea il 2 luglio 2020 – spiega Silvana Cesano, membro e attivista – Abbiamo fatto uno studio approfondito sulla rete ospedaliera e sui servizi territoriali, che non ci sono. Uno studio sulle leggi nazionali e regionali per dimostrare che ci sono carenze che sono diventate inadempienze. Abbiamo chiesto ad Asst e Ats un incontro, a ottobre, per costituire un tavolo di lavoro, che coinvolgesse anche sindaci, sindacati, rappresentanze professionali, per trovare delle soluzioni comuni. Ma non ci è stato risposto. Per questo abbiamo emanato una diffida e messa in mora ad Asst Lodi e Ats Città Metropolitana di Milano per inadempienze. Per noi è eclatante che solo tra fine estate e fine dicembre siano andati via, dai quattro ospedali del Lodigiano, 12 tra medici anestesisti e primari. Quando saranno sostituiti?”.

L’articolo A un anno dalla scoperta del Paziente 1, nel Lodigiano gli ospedali sono ancora in emergenza: manca personale e fare esami è quasi impossibile proviene da Il Fatto Quotidiano.

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Fonte: ilfattoquotidiano.it

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