Cecilia e la sua famiglia erano partiti dal sud Italia verso il nord in cerca di lavoro, qualche anno prima. Lo sviluppo dell’industria aveva creato nuove possibilità lavorative. Quando partirono Cecilia era ancora una bambina, ma già era in grado di occuparsi dei fratelli più piccoli e della casa, mentre i suoi genitori erano fuori. I turni nella fabbrica dove lavoravano i suoi genitori erano faticosi e il salario sempre troppo basso. Troppo basso per pagare l’affitto della casa dove si erano sistemati a Milano, troppo basso per la spesa che sembrava non bastare mai, troppo basso per inviare i soldi ai nonni anziani rimasti in Calabria. Fortunatamente il fornaio concedeva di pagare un po’ alla volta, ma i genitori di Cecilia erano troppo coscienziosi per approfittarsene e il risultato era che Cecilia avvertiva sempre la fame. Ricordava ancora il giorno del matrimonio della cugina Anna, quello sì che era stato un giorno felice, senza pensieri e, soprattutto, senza fame! La nonna, la mamma e la zia avevano cucinato per due giorni, tutte pietanze molto semplici, ma gustose e quel giorno si era riso e ballato e tutti i problemi del mondo sembravano svaniti. Era assorta in quei ricordi quando Pietro, il fratello più piccolo, corse tra le sue braccia piangendo: “Cecilia, Cecilia! Giovanni ha rubato le mie matite!”
Pietro e Giovanni erano la sua gioia e il suo affanno. Avevano uno 8 e l’altro 6 anni, erano due bambini molto vivaci che litigavano sempre, ma che si volevano un bene dell’anima. Così come ne volevano a Cecilia che, più che una sorella, era per loro una piccola mamma che li aveva accuditi fin da quando erano in fasce. Infatti, sebbene fossero stati fatti diversi passi in avanti in materia di diritti sul lavoro, le agevolazioni degli operai e, soprattutto delle operaie, erano ancora limitate. Era stato inserito il congedo retribuito dal lavoro in caso di maternità. Le neomamme, però, potevano usufruire di un solo mese per accudire i propri i figli, dopodiché sarebbero dovute tornare al lavoro. I fratelli più grandi, quindi, si prendevano cura di quelli più piccoli, con l’aiuto di altri famigliari, quando c’erano, o delle vicine di casa, quando erano disponibili.
“Giovanni, restituisci subito le matite a Pietro. Sai che ha i suoi compiti da terminare!” Disse Cecilia mentre asciugava le lacrime a Pietro.
Cecilia era felicissima che i suoi fratelli potessero frequentare la scuola. Le ultime leggi emanate nei primissimi anni del ‘900, avevano innalzato a 12 anni l’età minima per lavorare. C’era ancora qualche anno di spensieratezza per quei bambini allegri. A lei, invece, non rimanevano che pochi mesi ancora e poi sarebbe entrata nel mondo degli adulti. Era felice di poter aiutare finanziariamente la sua famiglia, ma era anche molto agitata perché non sapeva bene cosa aspettarsi. Più e più volte aveva chiesto a sua madre di raccontarle qualcosa di più della fabbrica tessile in cui lavorava, ma quando la mamma staccava dopo il suo turno che, finalmente, dopo anni di lotte operaie attraverso i sindacati, non durava più di dodici ore, di tutto voleva parlare, meno che del lavoro in fabbrica.
“Piuttosto Cecilia, raccontami tu cosa avete fatto oggi e come si sono comportati questi monelli?” Le rispondeva sorridendo.
Eppure, Cecilia avrebbe voluto sapere tante cose, avrebbe voluto sapere se le compagne che avrebbe trovato erano simpatiche, se ce ne sarebbero state molte della sua età, se avrebbero trovato il tempo di conoscersi, di scherzare, di fare amicizia. Un’amica era quello che più mancava a Cecilia. Rosa, la sua amica d’ infanzia, viveva in un’altra città del nord e ormai non la vedeva da tre anni. Inizialmente si erano ripromesse di scriversi ogni giorno, ma le lettere andarono via via diradandosi, anche se le due provavano sempre un grandissimo affetto l’una per l’altra. Un’altra cosa di cui era costretta a fare a meno Cecilia era il mare. Nella casa in cui viveva prima poteva ammirarlo quando voleva, anche solo affacciandosi alla finestra. Ora, invece, avrebbe dovuto percorrere centinaia di chilometri prima di vederlo. Quando si affacciava dalla finestra della casa in cui viveva ora, Cecilia non vedeva altro che tante persone affannarsi a correre da una parte all’altra della città e case, case, case per lo più grigie, che le facevano un po’ mancare l’aria. Qualcosa però era cambiato negli ultimi giorni. Quando si affacciava alla finestra della sua camera, spesso trovava, dall’altro lato della strada, due occhi grandissimi che la fissavano. Gli occhi appartenevano a Maria, una ragazza che doveva avere più o meno la sua età. Ogni volta che Cecilia le sorrideva, Maria arrossiva e con una scusa rientrava in casa. Quel giorno però, dopo essere riuscita a far fare la pace ai suoi fratelli, decise di parlarle.
“Ehi, ciao! Mi chiamo Cecilia, e tu?”
La ragazza le disse il suo nome e le spiegò che era appena arrivata in città con la sua famiglia, che ancora non aveva un lavoro, ma che l’avrebbe trovato presto nella fabbrica dove sarebbe andata a lavorare Cecilia dopo alcuni mesi. Nei giorni e nei mesi successivi l’amicizia tra le due ragazze crebbe moltissimo. Avevano trovato conforto e sostegno l’una nell’altra. Passavano ore ed ore a raccontarsi della loro vita di prima, a ridere delle marachelle dei fratelli di Cecilia e a confidarsi dei piccoli segreti tipici della loro età. Da quando aveva conosciuto Maria, Cecilia aveva molta meno paura del futuro. Il percorso che avrebbe intrapreso tra pochi mesi e che l’avrebbe catapultata ancora giovanissima nel mondo del lavoro sembrava essere meno oscuro. La strada da fare era lunga e faticosa, ma avrebbe avuto qualcuno con cui condividerla: un’amica.
Lucilla Fortini